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Dialoghi mediterranei

2007

Edi Hila

Stiamo perdendo molto tempo

Il pittore Edi Hila (artista ospite a Villa Romana 2007) a colloquio con Angelika Stepken.


Edi, nell'estate del 2007 sei stato uno dei primi artisti ospiti internazionali di Villa Romana e ti sei ritrovato faccia a faccia con l'esperienza che hai vissuto negli anni 1970, quando la nuova televisione statale albanese ti mandò a Firenze per studiare le tecniche della RAI. Poco dopo il tuo rientro dall'Italia ti hanno vietato di lavorare e di esporre i tuoi dipinti. Come ti sei sentito a Firenze più di trent’anni dopo questo avvenimento? E come ti sei avvicinato alla pittura che hai sviluppato in seguito al tuo soggiorno qui a Firenze?

Ritornare a Firenze dopo 34 anni non è stato molto semplice per me. Emozionalmente posso dividere il mio ritorno in due momenti: un primo momento nostalgico, perché ho rivisto la città, le chiese, Piazza della Signoria, l'Arno, la pensione dove alloggiavo, ho riassaporato il vino buono e tanti altri momenti rimasti nella mia memoria per anni e anni; mentre il secondo momento è più legato all'ambito professionale: riscoprire i grandi maestri del Rinascimento che mi sono stati molto vicini quando tornai in Albania... fu un momento davvero molto difficile. Sono ritornato per continuare un discorso lasciato a metà, senza dubbio con un'esperienza di vita e forse con un'esperienza artistica che non possedevo prima. Il viaggio a Firenze è stato per me una grande occasione per comprendere meglio la direzione che la mia creatività stava prendendo, e per cercare di indagare meglio il mio rapporto con l'arte, e nello specifico cercare di risolvere tanti interrogativi che mi ponevo, conscio del fatto che la risposta giusta non avrei potuto trovarla nei libri, o in qualsiasi altra fonte di studio per l'arte, ma soltanto tramite il contatto diretto, con esempi reali, sentiti profondamente dentro, in silenzio, senza alcuna formulazione verbale a voce alta; ho così cercato di scoprire il codice personale della creatività.

La tua pittura oscilla sempre tra la soglia della metafisica da un lato, e quella della malinconia dall'altro. Anche se il tuo approccio ai soggetti è un testimone della situazione attuale. Da dove ha origine questo atteggiamento artistico? E di cosa si nutre? Mi ricordo di come hai raccontato della tua gioventù e del tuo rapporto con la tradizione umanistica moderna a Shkoder prima del regime di Hodscha.

La tradizione di provenienza è sicuramente fondamentale per la formazione di ogni singola persona. Shkodra era una città particolare all'epoca. Il Comunismo temeva un risveglio di coscienza cittadina; nell'Albania di allora, una città che aveva già numerose biblioteche e scuole, che aveva già coltivato un rapporto con la poesia e l'arte, e che vantava una generazione di grandi fotografi di livello internazionale (i Marubi), non era ben vista dal Regime. La mia prima mostra dopo il Comunismo fu una serie di dipinti sull'idea del cittadino di Shkodra, perseguitato e poi scomparso. Tutte queste atmosfere reali e immaginarie legate al tema mi hanno indirizzato in maniera naturale verso melanconie e situazioni metafisiche... Poi anche l’educazione religiosa, che nella sua rappresentazione figurativa deve molto all'espressione classica, ha lasciato in me le sue tracce. Anche se in termini di attualità, quando si parla di nutrimento, di origini e del perché di questo atteggiamento artistico, il mezzo di espressione, la procedura tecnica, e il linguaggio formale si sono sempre nutriti del linguaggio classico.

Dopo la liberazione però non hai lasciato l'Albania come molte altre persone, come anche tanti dei tuoi studenti dell’ Accademia di Belle Arti di Tirana hanno fatto. Perché sei rimasto?

Non lo so, forse la ragione fondamentale erano i miei genitori e le responsabilità familiari. Allora ero docente all'Accademia, avevo già un posto di lavoro. Credevo che la democrazia fosse una garanzia per il nostro futuro culturale e artistico, credevo che anche nel nostro paese si potesse fare qualcosa. Ho creduto nella magia del cambiamento, nella libertà, nella comunicazione, nell’Occidente, nell'arte, e in una vita migliore….?! Non avevo però mai pensato che la democrazia potesse essere così difficilmente realizzabile in Albania. Adesso è tardi, troppo tardi, ogni giorno che passa ne sento la distanza. Ho creduto molto nella possibilità di realizzazione delle nuove atmosfere e nella possibilità di coltivare lentamente i nuovi valori, dei quali abbiamo tanto bisogno, ma se continuiamo così è quasi impossibile perchè il Comunismo appare ancora ogni tanto. Stiamo perdendo tempo, molto tempo.

Sei stato professore di Adrian Paci, di Anri Sala e tanti altri che poi hanno trovato attenzione internazionale per il loro lavoro artistico. Cosa insegni tu? C'è un messaggio per chi insegna ai giovani artisti?

È difficile rispondere a questa domanda… La tecnica pedagogica è legata al fatto che fino a questo momento la nostra Accademia non era altro che un'Accademia del Realismo Socialista, non soltanto il programma, ma anche la mentalità di tanti professori era tale. Anche fuori dall'Accademia, molti artisti erano avversi ad ogni forma o idea del contemporaneo. Il livello di informazione, le possibilità dei laboratori, lo scambio tra i professori e gli studenti e tra la nostra e le altre accademie occidentali era inesistente, era troppo presto. Erano anni difficili ma interessanti allo stesso tempo. In questo contesto la mia preoccupazione era quella di spiegare nel modo giusto questi fenomeni. Negli anni Novanta non si sapeva quasi niente sul concetto di Post-moderno, e peggio ancora, era quasi inacettabile l'idea dell'installazione, della video-arte o della fotografia come medium artistici, non erano considerati arte. Accettare all'Accademia un altro programma, basato su un'altra struttura, con tre o quattro dimensioni, non era facile. In questa situazione transitoria ho fatto tutto il possibile affinchè questi giovani intelligenti e di talento non prendessero la strada sbagliata. Ho cercato di indirizzarli ad un'atmosfera libera dagli schemi, spiegando loro che solo credendo alla loro verità avrebbero trovato il nuovo. E se mi chiedi quale messaggio ho per i docenti, è altrettanto difficile rispondere. Il mio comportamento pedagogico è stato condizionato proprio dai miei studenti. Ho rispettato ognuno di loro. Ogni studente è per me una proposta in sè. Il lavoro dell’ insegnante in una scuola d'arte è, a mio avviso, un’attività creativa.

Com’è oggi la situazione all'Accademia? Mi ricordo che qualche anno fa anche fra gli insegnanti c’erano ancora tensioni di dimensioni storiche, tra chi si abbandona facilmente al mercato, e chi gioca un ruolo nelle reti locali /nazionali. Che cos’è cambiato negli ultimi anni?

Con il cambiamento del sistema politico sono cambiati anche i criteri di riferimento. Il confronto con l'estero, con il sistema dell'arte, con la critica, e con una serie di elementi relazionali e di comunicazione, che non conoscevamo prima, hanno fatto emergere l’arretratezza di numerosi insegnanti e artisti (come dici tu di dimensioni storiche), diminuendo la loro resistenza. Il loro unico mezzo di sopravvivenza, era conquistare il potere, controllare le istituzioni e le attività per i propri interessi. Dare un colore politico all'attività e alla creatività artistica equivale a distruggerla. Per quanto riguarda il mercato invece, questo è casuale e rimane fuori dal sistema dell'arte.. In Accademia l'unico cambiamento fu La Carta di Bologna, che ha generato molte difficoltà all'interno del sistema scolastico perchè è una forzatura che non ha niente a che fare con una scuola d’arte.

Cos’è cambiato negli ultimi anni per il pubblico dell'arte contemporanea? Musei, gallerie, spazi progetti, scambio internazionale ?

Senza dubbio le Biennali di Tirana, Onufri internazionale e qualche altra sporadica attività, hanno giocato un ruolo molto importante e positivo per il pubblico dell’arte contemporanea. Il pubblico in generale accetta l'arte contemporanea, i giovani hanno la predisposizione necessaria..C'è invece poco a livello di musei, pochi scambi internazionali, pochi progetti, e soprattutto manca la motivazione. Per esempio penso spesso se può avere ancora senso in questo momento esporre i propri lavori o meno: nessuna galleria è in grado di garantire la minima vendita. Non c'è critica. C'è soltanto un collezionista stanco che compra raramente e possibilmente ad un prezzo irrisorio, secondo il suo gusto personale, non raffinato.

Parli italiano, hai lavorato con una Galleria a Milano, quali sono le tue relazioni con l'Italia oggi? Come vedi la situazione attuale?

Attualmente con l'Italia non lavoro molto, ma lavoro con una galleria di Parigi da due anni, la JGMgalerie. La domanda che mi ponevi prima, sul perchè non ho lasciato il paese, centra bene l'argomento: è vero che avrei dovuto essere già lontano da questo paese.….. Non basta la comunicazione attraverso le email, o tramite internet. Bisogna comunicare direttamente… Villa Romana è stata per me un'esperienza importante, uno spunto per riflessioni anche successive, un’esperienza che mi è rimasta dentro. Una situazione complessa ma sicuramente profonda, spirituale. Una bella esperienza. Grazie!

Di cosa ti occupi oggi nella tua pittura? Quali motivi? Quali aspetti artistici?

Ultimamente, mi sono fermato su temi che più o meno nascono dalla situazione attuale, caricata di tensione politica. Al momento sto preparando una serie di situazioni urbanistiche, città e periferie dimenticate, dolorose. Allo stesso tempo voglio portare avanti un'altra serie sul problema della violenza. Non sempre quelle con le quali convivi sono problematiche interessanti anche per gli altri.

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