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Interviste

2014

William Furlong

Audio Arts - il processo creativo dell'ascolto

La conversazione tra l'artista britannico William Furlong e Angelika Stepken (direttrice di Villa Romana) è stata registrata in occasione della pubblicazione e digitalizzazione dell'archivio Audio Arts ad opera della Tate Modern (maggio 2014).

Audio Arts è l'archivio audio più completo e più importante delle voci di artisti e delle conversazioni con artisti dell'importanza di Joseph Beuys, Richard Serra, Lawrence Weiner, Gerhard Richter, Dieter Roth, Tracey Emin, Jean Tinguely, che William Furlong ha registrato tra il 1973 e il 2007.

Nel 2013 Willam Furlong ha presentato la mostra Speaking to Others: Who Speaks to Who creata appositamente per gli spazi di Villa Romana.

L'intervista è stata registrata nel mese di aprile 2014 all' Hotel Belvedere di Firenze.

"Leggendo questa trascrizione mi rendo conto di quanto la lingua parlata sia diversa dalla sua trasposizione scritta (come in questo caso). L'intenzione e il significato delle parole si fanno piuttosto ellittici. Comunque sia, proprio come un secondo ascolto aiuta a comprendere meglio una registrazione audio, la rilettura di un testo scritto consente di penetrarne la superficie. Il lettore è caldamente invitato ad ascoltare le registrazioni Audio Arts sul sito della Tate Modern. Saranno illuminanti per comprendere gran parte degli argomenti affrontati in questo testo." (William Furlong)


La tua mostra Speaking to Others: Who speaks to who (Parlare con gli altri: chi parla con chi) a Villa Romana metteva insieme 23 stralci di conversazioni con 20 artisti registrate dal 1974 a oggi. Il visitatore entrava in sale pervase da un mormorio di voci, da una simultanea presenza delle voci di artisti. Perché hai scelto questo concept per una installazione sonora? Hai forse voluto creare uno spazio – storico – in cui il significato era/è generato?

Sotto molti punti di vista, quest'opera può essere considerata un viaggio autobiografico, più che un itinerario lineare di 40 anni di registrazioni Audio Arts. Non è una progressione lineare o una sequenza logica, ma è strutturata (o piuttosto non strutturata) come la vita stessa. È un po' come rispondere al telefono senza sapere chi ti sta chiamando: non lo sai finché non apri bocca. Come quando ti trovi sull'autobus o sull'ascensore con altre persone e ti capita di ascoltare conversazioni ambientali, alcune più forti di altre, suoni più o meno sfocati  e intelligibili a seconda della posizione che occupi rispetto a chi parla e dell'interesse e della curiosità suscitata dalle sue parole. Ovviamente anche il volume gioca un ruolo importante, ma non è detto che tu senta meglio se il volume è più alto. Lo spazio conferisce atmosfera e contesto a ciò che viene detto, può amplificare o ridurre il significato delle parole. Ascoltare, proprio come discorrere, è un processo creativo.

In questi 40 anni di Audio Arts, la tua prassi di artista ti ha portato perlopiù a dialogare con altri artisti. Una prassi che, nel tempo, ha dato vita a uno sterminato archivio di conversazioni.

Lo spero bene, dato che Audio Arts consiste proprio in questo. Non mi piace molto il termine intervista perché sottintende una sorta di gerarchia: l'intervistatore sa più dell'intervistato ed esercita una sorta di predominio, per così dire. Non dev'essere per forza così; personalmente preferisco ripensare a ciò che ho fatto come a una conversazione in cui tutte le persone coinvolte hanno la stessa autorità dell'intervistatore.

Solitamente le conversazioni professionali tra un artista e l'altro non sono pubbliche, anche se sono sempre di grande importanza per gli artisti.

Sì, come ho già avuto modo di scrivere, è nel dialogo che sviluppiamo le nostre idee e diamo loro forma. Più che svilupparle: le formiamo – il che ci riporta a Villa Romana, sede di un'interazione che, di per sé, non è la mostra, ma è il luogo in cui le mostre prendono forma mediante il confronto e il dialogo tra le persone coinvolte, proprio come nel mio progetto.

Spesso le registrazioni iniziano con te che dici: "Sono qui con…" ti prepari con cura a rivolgerti all'altra persona, approcci l'interlocutore.

Sì, è vero. Solitamente le mie interviste o conversazioni che dir si voglia prendono spunto da una motivazione ben precisa: la mostra dell'altra persona, un tema o un argomento di cui sembra importante parlare. Allora esordisco con: mi trovo qui, in questo posto, in questa particolare location, proprio come adesso noi due siamo qui a Firenze, parliamo, e abbiamo un motivo per farlo, vogliamo saperne di più; cosa stai facendo tu, cosa sto facendo io, perché mi trovo qui, che risultato ha avuto, o magari non ha avuto la mia mostra.

Le nostre azioni sono sempre mosse da primi e secondi fini. Agiamo per uno scopo, non ci limitiamo a fare le cose per il gusto di farle. Facciamo qualcosa per progredire. Penso che sia importante tenere sempre a mente che parlare con un'altra persona non vuol dire solo comunicare, ma anche imparare qualcosa da lei.

Il tuo approccio all'altra persona è motivato dal tuo desiderio di conoscere o di scoprire qualcosa di nuovo.

Proprio così, è verissimo, e credo sia questo lo scopo primario delle conversazioni informali tra le persone nella vita di tutti i giorni. Parliamo con qualcuno per imparare più di quanto già sappiamo. E infatti, tutte le interviste Audio Arts mi hanno insegnato qualcosa, per poco che fosse; sono sempre riuscito a portare via con me qualcosa che prima non avevo. Ha a che fare con la qualità della voce, con la possibilità di farmi un'idea del modo in cui una persona pensa e parla del suo lavoro, riflette su di esso e instaura connessioni.

FORMAZIONE DI UN ARCHIVIO

Questo è ciò che caratterizza il parlare, l'ascoltare, l'interagire nel tempo. Ma tu non ti sei limitato a parlare con alcuni colleghi, hai registrato queste conversazioni, le hai schedate ed editate creando un archivio.

L'uso del termine archivio è piuttosto recente, nell'ambito dell'arte contemporanea. Certo ognuno di noi, ogni giorno della sua vita, si costruisce un archivio personale di conversazioni, ma registrare su nastro permette di conservare una conversazione, di schedarla per poi riascoltarla, dando luogo a qualcosa che inizia a sembrare o che possiamo descrivere come un archivio.

Negli anni 1970, eri consapevole del valore storico di quel periodo? Dell'importanza di fare memoria? Oppure ti interessava più diffondere il materiale nell'immediato, nel modo più efficiente?

Non ero consapevole del valore storico dei singoli artisti, all'epoca. Li avevo scelti in virtù della loro correlazione all'arte concettuale e della loro pertinenza al concept del progetto Audio Arts. Non ricordo di aver nutrito particolare interesse per il materiale fisico prodotto all'epoca. Dovrei aggiungere che ho smesso di fare arte fisica negli anni 1970, da lì il collegamento al concettualismo. Ricordo il mio entusiasmo di allora per un'arte i cui significati trascendevano i valori formali degli oggetti concreti. Ascoltare qualcosa a posteriori cambia il significato. L'ambivalenza si insinua, ma questo è un bene se mantiene vivo il dibattito sui temi salienti, senza chiusure.

(...)

Il carattere ambivalente delle interviste audio su nastro è dato dalla presenza della voce, delle parole, del significato e dall'assenza, dalla mancanza della persona fisica.

Sì, giusto.

Questa tensione è uno dei suoi tratti salienti. Sarebbe molto diverso se qui di fronte a noi ci fosse Beuys che parla, saremmo molto più distratti dal dato visivo.

Sì, il fatto è che il suono ti permette di avere un immediato accesso alla riflessione e al pensiero, alle parole e al dialogo. In un video siamo bombardati da una miriade di stimoli visivi che non aggiungono nulla di significativo sul piano dei contenuti, del messaggio: l'aspetto fisico delle persone, il modo in cui sono vestite, l'illuminazione. A mio parere il video è più complicato e meno informativo.

L'accesso diretto del materiale audio al pensiero, è questo il tuo nesso all'arte concettuale? L'aver concepito Audio Arts come una pratica artistica e non come un lavoro di commento o di editing?

Proprio così. Ho agito da artista. E in un certo senso si potrebbe dire che il suono e la parola erano il materiale con cui stavo lavorando. Il nesso all'arte concettuale ne esce rafforzato, perché l'arte concettuale era incentrata sui valori, le idee e i significati senza gli oggetti fisici a sostanziarli, ma l'oggetto con cui avevo a che fare, il suono e la parola…

(...)

Una domanda banale, terra terra: quante copie di questi nastri hai fatto circolare all'inizio?

Be', ecco, non vorrei scadere nel banale a mia volta, ma non erano molte, all'inizio. Quindici, venti, trenta, non di più nei primissimi tempi; ricordo infatti che si trattava di una nuova avventura, di una nuova impresa, come ben sa chi ha cercato di fondare una rivista. Devi mettere insieme a uno a uno i sottoscrittori, dunque credo che siamo saliti a un paio di centinaia, a livello internazionale: non sembrano molti ma sono bastati a creare l'impatto che ha avuto. Non servono migliaia e migliaia di persone, tieni presente che non disponevo del budget o delle strategie di mercato su cui possono contare le grandi riviste per distribuire e fare conoscere le loro pubblicazioni. Non è facile fare un paragone con altre realtà, perché di solito vengono stanziati budget consistenti per queste cose, mentre io non avevo soldi. Mi sono sudato ogni singola sottoscrizione, era un duro lavoro, ma qualcuno doveva farlo. E io l'ho fatto.

(...)

Tutto un altro ordine di domande ha a che fare con l'idea di spazio. Nel caso di Audio Arts c'è lo spazio in cui hai registrato le conversazioni, poi ci sono gli spazi a cui sono approdate le registrazioni nel corso delle loro peregrinazioni, privati o non privati che siano, ma poi c'è anche lo spazio delle mostre che oggi ospitano queste conversazioni. Il prossimo traguardo sarà online, con l'archivio digitale della Tate. Il risultato è che la visibilità del tuo lavoro si è estesa a diversi contesti e tipologie di spazi.

Sì, tra l'altro credo sia interessantissimo osservare come lo spazio nel quale si propaga un suono è trasformato dal suono stesso. Mi spiego con un esempio. Se suoni un campanello in una stanza senti un suono particolare. Se porti il campanello in cima a una montagna e lo fai suonare, ottieni un suono completamente diverso. Per strada, il suono cambia ancora. Dunque la qualità del suono varia a seconda del luogo in cui lo ascolti, a seconda della sorgente del suono e a seconda del luogo in cui il suono è stato prodotto o registrato. Se fai rumore in una stanza che rimbomba, ottieni un effetto particolare. Se non c'è eco, se sei di fronte a un microfono, la sonorità cambia. Molti suoni che si ascoltano oggi sono registrati da un microfono collocato vicino alla fonte del suono o a una radio. Credo che il suono risulti leggermente falsato, appiattito… tutto risuona alla stessa maniera.

Stiamo parlando dello spazio di registrazione…

Sullo spazio e sul suono c'è da dire che il suono, nello spazio, determina e definisce lo spazio stesso. Quando batti le mani, il colpo rieccheggia nella stanza e tu senti sia il colpo secco, sia l'eco. È importante per definire o descrivere ciò che senti di fatto. Questo non accade in uno studio di registrazione. Ecco perché per molto tempo ho nutrito una certa avversione per gli studi di registrazione: non c'era alcuna risonanza nello spazio.

Lo spazio della percezione o della ricezione, in un secondo momento, è meno importante per te?

Ora lo è, credo, perché il suono che senti è un prodotto dello spazio in cui è ascoltato e registrato. Se si udisse solo il suono sarebbe come con un microfono. Non ci sarebbe alcuna risonanza – risonanza era la parola che stavo cercando – ed è importante perché è una parte, un frammento del senso di percepire un suono, di ascoltare una parola registrata; il suono articola lo spazio in cui è stato prodotto e registrato. Ecco perché a mio parere il suono possiede una qualità scultorea: il suono è connesso allo spazio.

Sia che io ascolti Audio Arts in uno spazio espositivo, sia che lo ascolti a casa, sul mio computer, permane – a prescindere dal tipo di spazio istituzionale che lo circonda – un certo grado di intimità della voce e del pensiero.

Sì, hai ragione.

…devi sempre dedicarti a questa intimità.

Sì, è vero. La voce è capace anche di quella forma di espressione. Voglio dire, su questo c'è ancora da lavorare, ma nel momento in cui io parlo con te, la mia voce assume un tono intimo, anche se sono pienamente consapevole del fatto che tu stai registrando la conversazione e che migliaia di persone potranno ascoltarla. Ma in questo momento stiamo parlando a tu per tu, e siamo liberi di dire qualcosa che non diremmo se ci stessimo rivolgendo a centinaia di persone in una sala conferenze. Ecco cosa può fare la voce. La voce ha la facoltà di modularsi in un dialogo intimo tra due persone e di parlare a un pubblico più ampio.

Le prossime domande riguardano l'ascolto e la ripetizione. Cosa accade quando si ripete l'ascolto?

Be', è una possibilità unica, significativa che ci è offerta dalla registrazione. Se la nostra conversazione non fosse registrata non potremmo riascoltarla. La registrazione ci permette di tornare alla conversazione e di ascoltarla ancora e ancora. Significa avere l'opportunità di penetrarla, di scoprire livelli di comprensione non manifesti nel momento in cui si è svolta la conversazione, perché è qualcosa di effimero. Parlando con qualcuno non ti aspetti di voler tornare sulla conversazione per riascoltarla ancora e ancora, ma se hai il modo di farlo, senti più cose, la comprendi più a fondo. Una conversazione ha più livelli di comprensione di quanto si creda...

Ho la sensazione che il cervello reagisca al suono in un modo molto particolare. Leggere e rileggere la stessa pagina non equivale ad ascoltare e riascoltare la stessa sequenza di suoni.

Ma ripetendo l'ascolto senti di più, perché presti attenzione a cose diverse e il cervello accede a tutti i livelli di comprensione. Ecco ciò che accade in una conversazione registrata che sei libero di riascoltare a tuo piacimento. Siamo arrivati al dunque. L'importanza di Audio Arts consiste anche in questo: nella possibilità di tornare su quanto è stato detto e di riascoltarlo, perché a volte qualcosa sfugge. E io so bene che ascoltare e riascoltare qualcosa ne rafforza il senso. Ma non è solo questo, credo che ci permetta anche di cogliere cose diverse, diversi livelli e sfumature in ciò che viene detto.

Era questo che intendevi quando parlavi di processo di ascolto creativo?

In parte era quello che volevo dire, sì. È questione di interpretazione. Più tu ascolti qualcosa, più riesci a interpretare ciò che ascolti. Non è questo il caso se lo ascolti solo una volta. In quel caso sei costretto a trarre le tue conclusioni basandoti su di un'unica irripetibile esperienza. Ma se hai modo di riascoltare quanto si è detto, puoi disporti a diversi tipi di ascolto. Certo, è complicato, ascoltare è un procedimento complesso. Ecco perché credo che sia così interessante l'avere dato vita a questo progetto: le persone che oggi ascoltano i nastri Audio Arts sentono qualcosa di diverso rispetto a quando sono stati registrati per la prima volta, dunque sì, credo che sia importante avere la possibilità di tornare su qualcosa e di riascoltarla più volte. Ma non è così che va il mondo. La maggior parte delle registrazioni vengono ascoltate solo una volta. Come la radio del resto.

La pubblicazione online sul sito della Tate Modern è solo il logico passo successivo, data la natura di questo materiale? Per farlo vivere, invece di custodirlo come un archivio inutilizzato?

Proprio così. Sono contentissimo di questa iniziativa della Tate Modern. Questo materiale ha ancora una lunga vita davanti a sé, un vasto orizzonte, dal momento che ora potrà essere ascoltato in tutto il mondo, in ogni momento, dalle persone che vogliono ascoltarlo.

(...)

La versione integrale dell'intervista è disponibile in inglese.

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