VILLA ROMANA - HOME
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Mostre

16.09.                     19.11.2023

a house is a house is a home

Villa Romana

Se "una rosa è una rosa è una rosa", come suggeriva Gertrude Stein, una casa è una casa è una casa, e non è sempre quello che ci aspettiamo o immaginiamo. Tutti abbiamo bisogno di una casa, tutti desideriamo una casa o ne fuggiamo, tutti desideriamo questo qualcosa che è tanto un'astrazione quanto un'esperienza vissuta. Un processo in costante divenire, che si materializza in immagini, suoni, forme, pratiche e relazioni diverse.

Villa Romana è stata fondata nel 1905 da un artista per artisti, come spazio in cui sperimentare, respirare e vivere insieme. Un luogo in cui la convivenza potesse diventare un'opportunità di impegno artistico individuale e di cambiamento comunitario.

Villa Romana non è una villa, non è un museo, ma una casa. Non è un'arcadia, ma un luogo reale, con i suoi problemi e le sue crepe; uno spazio fisico e mentale dove sentirsi al sicuro e a volte inquieti, come nella vita. Questa è la riflessione fondamentale al centro della nuova fase appena avviata di questa istituzione in divenire.

Negli ultimi mesi, dal mio arrivo come nuova direttrice nel gennaio 2023, Villa Romana si sta infatti trasformando in una House for Mending, Troubling, Repairing (Una casa per rammendare, disturbare, riparare) dispiegando una nuova visione e un nuovo programma per la storica residenza per artisti fondata quasi 120 anni fa da Max Klinger. Favorendo un laboratorio ospitale e critico per artisti, attivisti, operatori culturali, comunità diasporiche, bambini, e anche per piante e animali, il programma prevede un'agenda e un clima che si guarda al nucleo stesso dell'istituzione Villa Romana: la sua infrastruttura, i suoi abitanti, la sua comunità, la sua località e il suo giardino.

Il 16 settembre 2023, Villa Romana ha aperto le sue porte al pubblico per presentare gli studi e il lavoro die nostri quattro borsisti, i Villa Romana Fellows 2023: Diana Ejaita, Jessica Ekomane, Samuel Baah Kortey e Pınar Öğrenci (KHI Fellow). La casa parla attraverso le idee e le opere di questi artisti che vivono nella Villa dal febbraio di quest'anno, in dialogo con altri autori invitati a trasmettere gli echi della storia di Villa Romana e della sua attuale transizione: tra cui Emeka Ogboh, Shannon Bool, Aline Benecke, Archive Ensemble, Stephany Nwobodo, Radio Papesse, Ivana Franke, Álvaro Urbano, e a Daniela Zambrano Almidón e Leone Continigli ultimi due che ha costituito il team del giardino insieme alla curatrice Marleen Boschen, all'agronoma Isabella Divetta e ai membri del team di Villa Romana.

Casa d'artista e centro di produzione d'arte contemporanea e di scambio internazionale dal 1905, Villa Romana è diventata un'interfaccia unica e dinamica, un nodo di riflessione critica, impegnato a promuovere il dibattito e lo scambio culturale tra l'Europa e il Sud del mondo. Con la nuova direzione (dopo i sedici anni di direzione di Angelika Stepken), Villa Romana rinnova il suo programma di impegno e si apre in modo più radicale a un'agenda trasformazionale, proponendosi di affrontare alcune delle più urgenti emergenze sociali ed ecologiche di oggi. I tempi di crisi in cui viviamo ci costringono a ripensare il modo in cui coabitiamo il pianeta e a riconsiderare alcuni dei valori fondanti della cultura occidentale - una cultura che si è scoperta ecocida ed epistemica nei confronti dei sistemi di conoscenza al di là della grande narrazione eurocentrica. Per immaginare un futuro ecologicamente e socialmente sostenibile, Villa Romana rinasce come laboratorio di riflessione critica e di confronto, come spazio di sperimentazione socio-artistico-culturale e, allo stesso tempo, come laboratorio e casa per lo sviluppo di strumenti e pratiche che ci permettano di affrontare la difficile opera di riparazione a cui siamo chiamati. Il nuovo programma abbraccia un percorso di autoriflessione istituzionale e di trasformazione infrastrutturale. Un percorso che parte dalla pratica della coabitazione e del fare insieme, attraverso un pensiero ecologico e un agire antirazzista e antidiscriminatorio, per elaborare pratiche di convivialità radicale, inclusione, condivisione e restituzione. Ma anche di abbracciare la vulnerabilità e il dubbio. Per articolare un'agenda non universale, ma sempre situata e senza pregiudizi.

LA MOSTRA: a house is a house is a home

L'open house e gli open studio del 16 e 17 settembre 2023 hanno segnato la riapertura di Villa Romana come A House for Mending, Troubling, Repairing. La casa apre le sue porte a un pubblico più ampio, non solo quello specificamente impegnato in discorsi e pratiche artistiche, ma anche quello impegnato in varie forme di cittadinanza attiva, di ricerca, pensiero critico ed ecologico.

Si riapre dando spazio al lavoro dei quattro borsisti che abitano la casa da febbraio 2023: Diana Ejaita, Jessica Ekomane, Samuel Baah Kortey, Pınar Öğrenci. Negli ultimi mesi questi artisti hanno partecipato e bilanciato il processo di transizione e continuità dell'istituzione. La loro presenza, la loro ricerca artistica e il loro impegno sono stati fondamentali per la ridefinizione dell'agenda di Villa Romana e hanno aperto la strada ad alcune delle riflessioni più sostanziali articolate in questa mostra. Come nota la curatrice Mistura Allison, i nostri Fellows hanno incarnato e moltiplicato gli echi che vibrano nella Villa e oltre, riverberando l‘operato passato e futuro di questa casa d'artista e scavando allo stesso tempo nella propria ricerca e pratica.

Mentre gli artisti hanno aperto i loro studi durante il fine settimana del vernissage, una mostra multiforme e in crescendo- dal titolo a house is a house is a home - prende spazio nelle stanze della Villa e nello spazio pubblico, per sostenere il riverbero degli echi in modo multidirezionale. E per piantare semi. Così come la casa è vissuta, sperimentata e animata dagli artisti e dal team che la abita - e dai tanti amici che partecipano alla sua quotidianità -, allo stesso modo la mostra è concepita come un organismo vivente: non qualcosa di statico e cristallizzato, in cui i visitatori assistano a un panorama inalterato nel corso delle settimane, ma un assemblaggio poroso che si trasforma, si muove e cresce secondo i ritmi della casa e le esigenze e gli umori dei suoi abitanti. Perché come A House for Mending, Troubling, Repairing la Villa non è uno spazio di contemplazione ma di azione e relazionalità, di trasformazione e di abitazione. In una casa, i tavoli vengono spesso spostati, le sedie mosse, gli oggetti si muovono, si perdono e a volte ricompaiono. Anche gli stati d'animo sono mutevoli, come il sole, l'ombra e la luce cambiano la forma della casa e la sua esperienza attraverso i giorni e le stagioni.

a house is a house is a home, e le sue pareti non sono statiche, ma a volte possono parlare e danzare, sgretolarsi e impolverarsi, possono riparare e opprimere. Attraverso diverse culture la casa non è mai un concetto definito, ma un'esperienza. Un'esperienza che, al di là dell'Occidente, è per lo più collettiva e non si esaurisce nell'individuo o nei confini della famiglia nucleare e biologica. Rappresenta invece una catena di intimità interconnesse e sempre inclusive, incorniciate da interdipendenza e convivialità.

Se a SAVVY Contemporary a Berlino abbiamo imparato a vivere e incarnare una njangi house (Ndikung 2017)1, come esercizio di solidarietà costante, qui a Villa Romana siamo interessati a sperimentare la necessità di scomodare l'ordine della casa. Per dirla con le parole di Giulia Palladini, vediamo questa come un'opportunità e un punto di osservazione per ripensare cosa possa essere una casa, e per chiarire che "è la relazione tra il 'politico' e il 'domestico' che deve essere attentamente riconsiderata, in politica come in arte". Come spiega l'autrice: "...inventare una diversa politica d'uso dello spazio domestico, riparando il destino della sua crisi e immaginando un possibile futuro di riscatto per tutte le attività che questa parola potrebbe evocare. (...)un domestico che esiste dunque al di là della famiglia e della psicoanalisi, un domestico che esiste già di fatto in molte realtà, un domestico costruito, difeso e sostenuto da una molteplicità. Un domestico non basato sull'identità, ma su un modo di essere che renda la vita umana possibile e desiderabile".2

La mostra attuale non è una messa in scena di asserzioni e di slogan. Sulla falsariga del Takeover dei bambini e della sperimentazione libera di qualche settimana fa a Villa e della nostra stesura collettiva di una politica di reciproco rispetto e di coabitazione, creiamo un alveare di relazioni, una possibilità di complessità vissuta e di interconnessioni aperte, dove mettiamo in gioco pluralità e allo stesso processi conflittuali, come nelle nostre "società di negoziazione", per usare le parole di Naika Foroutan3.

La casa non è solo un edificio, un luogo o un'unità fisica, ma piuttosto il risultato temporaneo di processi permanenti di negoziazione, attraverso i quali si riflettono norme sociali e strutture di potere, e da cui possono emergere opportunità e risorse diseguali nella distribuzione del lavoro. A questo noi vogliamo dedicare attenzione.

A House for Mending, Troubling, Repairing è uno spazio che abbraccia il dissenso e si apre alla riflessione collettiva; un luogo in cui la normatività e i canoni vengono messi in discussione; una casa in cui la sperimentazione artistica va di pari passo con la riparazione sociale.

Molte sono le porte e le finestre che incontrerete e aprirete camminando attraverso le molte stanze di questa casa. Considerate ognuna di esse come una soglia che vi porta in uno spazio personale, ma anche come un collegamento ipertestuale che vi permette allo stesso tempo di fare un passo indietro, per risalire al rizoma relazionale di interconnessioni che la casa mette in gioco. Attraverso la sua storia e le sue presenze.

Il nostro intervento abbraccia anche lo spazio pubblico, per sfumare i confini tra il personale e il politico, tra il privato e l'impegno pubblico della nostra riflessione artistica. Emeka Ogboh, che insieme a Chiara Figone (Archive Ensemble) è stato membro della giuria del Premio Villa Romana 2023 e che ha sostenuto il lavoro dei nostri borsisti in questi mesi, interviene con una nuova edizione di This Too Shall Pass - Tutto Passa, un'installazione sonora multicanale al Piazzale degli Uffizi, e con una performance di un coro alla storica Società Canottieri Firenze. L'opera, che riflette sul significato del cantare insieme nella nostra società, soprattutto in un mondo (post)pandemico e in crisi, dove la musica e l'arte in sé sono state a lungo messe in secondo piano da altre urgenze, interrompe sonicamente il flusso di una delle piazze più affollate e simboliche d'Italia, il Piazzale degli Uffizi.

In questo modo collega Villa Romana alla stratificata storia di Firenze e allo stesso tempo invoca e prelude all'apertura della grande mostra su Aby Warburg alle Gallerie degli Uffizi aperta dal 18 settembre, e curata dal Kunsthistorisches Institut (KHI), dal Warburg Institute e dagli stessi Uffizi.

Come scrive Juliane von Herz - curatrice e committente della prima iterazione dell'opera a Francoforte - "attraverso esperienze sensoriali come l'udito, la vista, il gusto, l'olfatto e il sentimento, Emeka Ogboh apre spazi di memoria culturale. Nelle sue opere d'arte, nella cucina e nelle performance da DJ, questi spazi di memoria sono campionati secondo principi musicali, le loro origini si intrecciano".

Insieme al borsista di Villa Romana Samuel Baah Kortey, Ogboh invita il pubblico a un'esperienza multisensoriale la sera del 16 settembre a Villa Romana: Florence na so enjoyment, una sessione al barbecue nel nostro giardino con assaggi e musica. Questo speciale momento conviviale proseguirà con un DJ set dello stesso Emeka Ogboh, un‘altra parte integrante del brano This Too Shall Pass - Tutto Passa.

Per ampliare ulteriori possibilità polisemiche warburghiane, negli spazi comuni di Villa, Archive Ensemble presenta un'iterazione della sua Haptic Library, "reimmaginando la libreria come un display comune per l'interazione collettiva e elaborando vari formati culturali basati sul pensiero e sulla pratica anticoloniale e femminista". Utilizzando libri, tessuti e musica come mezzi multisensoriali per archiviare e diffondere narrazioni e conoscenze, la Haptic Library sposta l'attenzione dal libro stampato e dalla brama occidentale per l‘accumulo e per il senso dominante della vista al senso del tatto, presentando prospettive e forme plurali di narrazione attraverso regioni, generazioni ed epistemologie. L'installazione di Archive Ensemble si materializza dunque una biblioteca relazionale che prenderà forma nello spazio del nostro ufficio, e che nel corso della mostra potrebbe spostarsi in altri luoghi a seconda dei movimenti, delle esigenze e degli umori degli abitanti o degli esseri che vivono la casa - come tutti gli altri pezzi di questa mostra. Come in una casa e in uno spazio condiviso, si chiede di scoprire cosa c'è dove, di sintonizzarsi con i ritmi e gli usi della casa e delle persone che la abitano.

Appena varcato il portone della Villa, nel corso della mostra, si incontra l'installazione tessile di Diana Ejaita, sei tessuti stampati intrisi di ricchi simbolismi astratti che accolgono il visitatore in modo multisensoriale e filtrano la vista sulla successione architettonica borghese delle stanze, moltiplicando gli strati di opacità e di dissenso epistemologico e immaginario. Ci si può dirigere verso l'atrio, il crocevia principale della casa - dove si fondono e si intrecciano tanti echi e paesaggi sonori quante sono le prospettive visive -, oppure si può tornare nelle stanze a lato, dove i film di Pınar Öğrenci danno forma al tempo e allo spazio. La prima opera che si incontra, intitolata Snow (2023), si presenta come un dettaglio delle scenografie evidenziate in Aşít (2022) e in luce i temi dello movimento, della migrazione, della sopravvivenza e della resistenza. Mentre si naviga nella neve, l'installazione cinematografica a tre canali di Öğrenci, Hotel Miks (2023), riverbera la mondanità conviviale della vita nella Villa, anche se girato nella città natale del padre dell'artista, Miks (o Müküs in curdo, Moks in armeno, Bahçesaray in turco), nella provincia di Wan.

Nell'atrio presentiamo una selezione di fotografie e documenti dell'archivio storico di Villa Romana, per dare un tono e uno background storico alle articolazioni e alle riflessioni che la mostra cerca di far emergere. Riproduzioni dei primi momenti di fondazione di questa casa d'artista – purtroppo tutti i documenti dei primi decenni della istituzione sono andati perduti, poiché durante la Seconda Guerra Mondiale l'archivio fu inviato a Berlino e l'edificio in cui era conservato fu bombardato -, vengono combinati a fotografie e immagini storiche e attuali della vita conviviale e artistica della Villa. Insieme a Carlotta Castellani, attualmente incaricata di condurre le ricerche nell'archivio in vista del nostro 120° anniversario, abbiamo scelto di evidenziare momenti e opere d’arte che hanno creato rotture e cambi di traiettoria nella vita della Villa, e nel canone artistico. Alcuni ci permettono di costruire le attuali direzioni di ricerca dell'istituzione, come il troubling femminista, l'appartenenza diasporica, la comunanza, la sostenibilità ecologica e la decanonizzazione.

In particolare, abbiamo scelto le opere di tre artiste: tre donne - non tre mitologiche Parche - la cui ricerca si intreccia con alcuni dei fili che stiamo tessendo insieme in questa mostra e in questo programma.

Anna Oppermann, borsista di Villa Romana nel 1977, viene presentata con i suoi monumentali e sottili Ensembles, installazioni tridimensionali a parete riunite come collezioni e composizioni aperte, talvolta composte da diverse centinaia di layers, fotografie, disegni, oggetti, sculture, elementi architettonici, pannelli e nastri di scrittura. Sono state elaborate dall'artista come immagini e processi di pensiero distribuiti nello spazio, come riflessioni sulle transizioni tra realtà e finzione. Un'interessante eco visiva e un contrappunto concettuale al metodo di lavoro di Aby Warburg e del suo Atlante Mnemosyne, che proprio in questi giorni è oggetto di riflessione nella mostra Camera con Vista curata dal Kunsthistorisches Institut – Max Planck Institut e dal Warburg Institute alle Gallerie degli Uffizi, un progetto a cui la nostra mostra è intrecciata.

Ulrike Rosenbach, ospitata qui come visiting fellow nel 1977 insieme ad altre figure come Martin Kippenberger, Marcel Odenbach e Klaus vom Bruch, porta alla ribalta una pratica performativa femminista che ancora oggi ispira molte discussioni e riflessioni nella casa. Alla fine di luglio del 1977, i residenti dell'epoca organizzarono una serata di performance all'interno e intorno al giardino intitolata Künstler arbeiten für Künstler [Gli artisti lavorano per gli artisti]: durante quella serata Rosenbach avvolse per dieci volte intorno alla casa un filo rosso lungo 1370 metri, misura che rappresentava la distanza da Villa Romana a casa sua (1370 km), avvolgendosi la parte restante intorno alle gambe mentre si sdraiava su un labirinto di candele e mostrava con le mani il simbolo del movimento femminile italiano. Il giorno dopo usava lo stesso filo per coprire la testa della "dumme (stupida)" (come la chiama lei) Medici-Venere alla fine del vialetto di ingresso di Villa Romana.

Dorothee von Windheim ha ricevuto il premio Villa Romana nel 1975. Il suo lavoro riguarda letteralmente la pratica dello strappo, riflettendo sull'effimero delle tracce e sul significato filosofico delle fratture, oltre che sulle nozioni di inquadratura e di indice. Decontestualizzando intonaci di edifici antichi e più recenti, l'artista era interessata a far luce sulla (non) storia del quotidiano, ma anche a riflettere sull'individualità che una parte anonima dello spazio pubblico acquista improvvisamente con la trasposizione in un contesto artistico. Un'altra interessante deliberazione nella House for Mending, Troubling, Repairing.

La mostra prosegue in modo multidirezionale, a seconda della scelta del visitatore di seguire questa o quella voce e percorso.

Seguendo le scale che salgono verso il primo piano della casa, un'opera sonora multichannel di Jessica Ekomane, Untitled 1, ci invita a una percezione corporale del suono, salendo lungo le grandi scale di pietra di Villa Romana. Un testo curatoriale separato di Mistura Allison vi accompagna per approfondire il lavoro stratificato e ponderato dei nostri borsisti e il loro particolare contributo a questa mostra. Ma la complessità teoretica e matematica dell’opera di Jessica richiede una vostra speciale collaborazione intellettiva al suo lavoro.

Arrivati alla prima balconata, potrete confrontarvi con l'opera ipnotica e pulsante di Stephany Nwobodo - Genesis (2023) - un dipinto dipinto in una delle lunette architettoniche dell'atrio, che fa rivivere antiche maschere della cultura Igbo. In particolare, l'Adamma Masquerade è accostata a sette piume di pavone, che trascendono la bellezza femminile e funzionano come invocazione degli spiriti buoni passati e futuri della casa. Una protezione per i borsisti, per la casa e per le persone in grado di leggere questi segni e codici.

Sul balcone più alto, tornando verso la tromba delle scale, è installato il cortometraggio Forensic for a Mamluk di Shannon Bool (Villa Romana Fellow 2013). L'opera, proveniente dalla collezione di Villa Romana, presenta una visione analitica a volo d'uccello di un capolavoro dell'arte decorativa, il gigantesco tappeto mamelucco egiziano della prima metà del XVI secolo. Il tappeto era stato dimenticato tra gli oggetti conservati a Palazzo Pitti fino a quando fu riscoperto in una camera sigillata del palazzo da Alberto Boralevi, un esperto fiorentino di tappeti, nel 1982. L'oggetto era stato dimenticato a causa del pregiudizio storico che poneva le arti decorative come inferiori alla pittura e alla scultura. Per noi non è solo l'occasione di dispiegare un approccio epistemologico non occidentale allo studio delle immagini e dei manufatti, ma simboleggia anche l'intenzione di rinegoziare il concetto di domesticità, incarnando il gesto letterale del rammendo e della tessitura, e aprendo una forte connessione con il nostro giardino (un tappeto è sempre un giardino).

Camminando al primo piano, attraverso una stanza ottagonale, fino agli studi degli artisti e all'appartamento di Diana (a destra) e di Pinar (a sinistra), ci si ritrova improvvisamente in uno spazio dai soffitti alti, una geometria vuota che sale come una torre scolpita fino al tetto della Villa. Guardando in basso, si incontra un altro film di Pınar Öğrenci, un pezzo di Inventory 2021, che ci porta di nuovo su altre scale.

Salendo i gradini più ripidi e stretti della casa, ci si trova di fronte a una parete con i nomi di tutti borsisti insigniti del Premio Villa Romana dal 1905 a oggi. Un lungo elenco di artisti, alcuni scomparsi e molti ancora viventi, che hanno ottenuto riconoscimenti nel corso della storia.

Il percorso conduce alla terrazza, dove risuona un'installazione sonora della nostra in-house radio Radio Papesse di Ilaria Gadenz e Carola Haupt, oppure alla biblioteca della Villa. In occasione degli Open Studios 2023, le Papesse presentano Echoes from troubled bodies, un'installazione immersiva di voci selezionate dall'archivio di Radio Papesse, quelle di Ananda Costa, Alessandra Eramo, Adriene Lilly, Jasmina Metwaly (borsista di Villa Romana 2022) e Josèfa Ntjam. Tutti riflettono sul corpo come luogo del discorso, utilizzandolo come cassa di risonanza e strumento sonoro.

Sullo stesso terrazzo, un altro tipo di esperimento multisensoriale avrà corso lungo la durata della mostra e per il resto dell'anno, un percorso verso i solstizi stagionali: l'opera Suncostaj di Ivana Franke. Uno strumento che cattura i raggi solari è atterrato sul punto più alto della Villa e rende visibile la luce del sole facendola rimbalzare verso i visitatori e gli abitanti della città. Appare come un bagliore liminale che richiama l’attenzione piuttosto che come un segno o un'indicazione - una "stella di navigazione" che delinea traiettorie invisibili, possibili percorsi di movimento da diversi luoghi della città. Un'eco visiva da Villa Romana che viene inaspettatamente incontrata dagli abitanti e dai passanti della città di Firenze. Non un faro, ma una stella diurna, per invocare la presenza di chi si sente chiamato alla House for Mending, Troubling, Repairing.

Scendendo le scale e percorrendo il corridoio in cui si incontrano in successione gli studi e le stanze dei diversi artisti ospiti, si arriva a un altro cuore pulsante della Villa: la biblioteca e l'archivio, dove un migliaio di libri sono messi a disposizione di residenti e ricercatori. Qui la regista Aline Benecke presenta il brano Can we not be so self-centered and keep our experiences to ourselves? Diasporic remembrances of Fasia Jansen, un'opera che affronta la memoria della attivista e cantautrice politica tedesca e attivista Fasia Jansen. Fasia nacque nel 1929 ad Amburgo, figlia illegittima della giovane ragazza tedesca Eli Jansen e del console liberiano Momolu Massaquoi. Fasia fu testimone delle sofferenze delle donne ebree nel campo di concentramento di Neuengamme, dove fu imprigionata per lavori forzati. Dopo questa e molte altre esperienze traumatiche, Fasia dedicò la sua vita a diverse lotte politiche e divenne attiva nei movimenti delle donne*, dei lavoratori, antiatomici e per la pace, scrivendo un'impressionante raccolta di canzoni di protesta. Come scrive Benecke: Il nostro desiderio era di relazionarci con Fasia da una prospettiva queer nera, di capire la sua posizione e quindi di negoziare la nostra. Lo abbiamo fatto raccogliendo e rimettendo in scena le sue canzoni e il suo spirito. Il nostro coro - il Fasia Jansen Ensemble - è un'invocazione spirituale. Il pezzo ha vinto il premio Villa Romana dell'ADCF di quest'anno, il Festival del Cinema Diasporico Africano fondato e diretto da Fide Dayo, un altro residente di Villa Romana. Per noi qui funziona come una riflessione sull'importanza di creare e coltivare archivi dissidenti e sulla necessità di mettere in discussione la memoria storica eteronormativa. Allo stesso tempo, si materializza come un coro di voci di attiviste che risuonano nello spazio della casa in polifonia e in eco.

Tornando al corridoio dello stesso piano, si trovano le stanze degli artisti ospiti: artisti e operatori che coabitano la Villa con noi per un periodo più breve. Le stanze sono quattro e tra di esse ve ne è una che è stata intitolata ad Hans Purrmann e che nella House For Mending, Troubling, Repairing sta per essere rinominata collettivamente. Nella stanza vive attualmente l'artista Erik Tollas, ospite di Villa Romana in collaborazione con ERIAC (Istituto Europeo Rom per l'Arte e la Cultura), che partecipa agli Open Studios e alla mostra a house is a house is a home. Nel giardino e in diversi angoli della casa troverete le sue seguenti sculture: Indian summer with flowers, Olive yard at night, and Honeydew teardrops.

La stanza di fronte all'ex Hans Purrman si chiama Superstudio. I mobili Superstudio che danno il nome alla stanza sono un'opera d'arte di Marine Hugonnier: pezzi della sua mostra personale, esposta a Villa Romana nell'estate 2009, sono ora disposti nella stanza degli ospiti come installazione permanente - un letto, un armadio, scaffali e tre tavolini. Come si legge sul nostro website, l'artista francese Marine Hugonnier ha clonato i prototipi della serie "Misura" di Superstudio, il gruppo di architetti radicali di Firenze degli anni Settanta. L'artista ha pensato al concetto di clonazione come a una tecnica di riproduzione contemporanea. In pratica, Hugonnier ha alterato sottilmente le dimensioni e le proporzioni dei singoli oggetti. Questa idea di clonazione ha aperto la possibilità di una rivalutazione critica delle preoccupazioni di "Superstudio" rispetto a quelle del presente.

L'ultima stanza a destra è la Sala Álvaro Urbano (già intitolata ad Arnold Boecklin), un'altra installazione permanente come stanza per gli ospiti, uno spazio che evoca una cripta onirica. Il letto si alza da terra come se levitasse; antiche sculture in pietra e terracotta, vetrine e reperti archeologici scavati nel giardino sembrano emergere accanto al letto come vasi comunicanti in un sogno ermetico. La Psiche di Capua, riemersa dal giardino, veglia sul dormiente e ne assiste il risveglio. Dal soffitto inclinato si apre una finestra da cui si intravedono fili d'erba in un giardino pensile in alto.

La stanza si collega a un'altra opera lasciata da Álvaro durante la sua residenza come borsista di Villa Romana nel 2014: nel giardino, sul lato sinistro accanto al gazebo occupato dal gelsomino, l'opera Osservatorio è scolpita come un letto notturno, suggerendo associazioni all'Hypnerotomachia Poliphili, a Böcklin, Edgar Allan Poe, Ebdòmero, Bréton, Dalì, Buñuel, Tatì, Jodorowski, il cinema horror, ecc. L'opera è stata restaurata in occasione di Open Studios 2023 e della mostra, e il pubblico è invitato ad attivarla e a relazionarsi con essa. Questo pezzo sarà infatti presto incluso nel Healing Garden che stiamo piantando e curando durante l'autunno.

Scendendo le scale, in senso inverso rispetto al percorso fatto all'andata o scendendo la scala più piccola, si ritrova la sala principale, il bivio da cui partivano i diversi percorsi. Lì si cammina verso il giardino e si trova la Sala Giardino, la nostra sala più grande e conosciuta, utilizzata per diverse attività pubbliche e momenti comuni. Qui il nostro borsista Samuel Baah Kortey presenta una nuova serie di opere realizzate durante il suo soggiorno a Firenze: un dipinto di grandi dimensioni che si ricollega all'arte delle stampe su cera africane e in particolare alla tradizione delle stampe su tessuto commemorative di personaggi di spicco come simbolo di forza e identità di fronte all'oppressione. La tela, che fa parte della serie Do This in the Remembrance of Us dell'artista e che è intitolata Na Who Give Up, Messop, si dispiega per tutta la lunghezza e la grandezza della sala, mentre la sua materialità viene amplificata dal sound piece Our Village People (Do This In Remembrance of Us).

Samuel ha inoltre accompagnato i visitatori attraverso il percorso e il perimetro della casa, installando opere più piccole in diversi angoli della villa, presenze misteriose che emergono sulle pareti come ragnatele o come organismi viventi: i pezzi fanno parte della serie Chris-sis; Inaccessible files 00BC-Forever III, che riflette e affronta l'ipervisibilità del crocifisso cristiano e dell'iconografia cristiana all'interno del paesaggio urbano del suo Paese d'origine, il Ghana, e allude alla commercializzazione di questo simbolo religioso.

 

Download(pdf): Booklet: a house is a house is a home

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Credits

Direttrice: Elena Agudio

Curatrice e coordinatrice dei progetti: Mistura Allison

Amministrazione: Claudia Fromm

Produzione (mostra): Giulia Del Piero

Produzione (casa): Ala Turcan, Victor Cebotaru

Art Handling: Leonardo Panci

Assistenza curatoriale: Cecilia Buffa

Supporto tecnico e ingegneria del suono: Pietro Mauro Forte(per l'installazione This Too Shall Pass - Tutto Passa di Emeka Ogboh al Piazzale degli Uffizi)

Compositore, arrangiatore e traduttore del pezzo di Emeka Ogboh: Omar Gabriel Delnevo

Archivio: Carlotta Castellani 

Assistenza Archivio: Leonie Wessel

Garden Team: Marleen Boschen, Isabella Devetta, Claudia Fromm, Victor Cebotaru, Leone Contini, Carola Haupt, Mistura Allison, Elena Agudio.

Grafica: Untitled Design Agency

Ringraziamo gli “abitanti” di Villa Romana e tutti coloro che negli ultimi mesi hanno ripetutamente contribuito alla sua vivacità culturale: i borsisti di Villa Romana, Elena Micheli, Radio Papesse, Michele Pardo, Justin R. Thompson, Janine Gaëlle Dieudji, Jermay Micheal Gabriel, Odeon Davis, Chris Cyrill, Carmela Iziegbe, Juliane von Herz, Jonas Tinius, Edoardo e Jacopo Bottarelli, SADI, Chiara Figone, Emeka Ogboh, Paz Guevara, Lynhan Balatbat, Leila Bencharnia, Fide Dayo, Simona Fabiani, Antonella Bundu, Jasmina Metwaly, Anna Lambertini, Giacomo Zaganelli, Archipel e.V., Ilaria Cavallini, Marzia Duarte, Constance Van Berckel, Eva Sauer, gli studenti del programma di Master in Spatial Strategies della Weissensee Kunsthochschule Berlin, il collettivo blaxTARLINES.

Si ringraziano per la continua collaborazione istituzionale e il sostegno: Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max Planck Institut (KHI), The Recovery Plan, ooh-sound, Nub Project Space, ERIAC – European Roma Institute for Arts and Culture, Il Bisonte – Fondazione per Arte e Incisione, Dipartimento di Architettura del Paesaggio dell'Università di Firenze, Master in Strategie Spaziali della Weissensee Kunsthochschule Berlin, Archive Books. Ringraziamo il board di Villa Romana per il suo costante sostegno e il Kuratorium per il suo impegno. Villa Romana è sostenuta da: Bundesbeauftragte für Kultur und Medien (BKM), BAO Stiftung, Deutsche Bank Stiftung.


Questo progetto espositivo è stato possibile anche con il sostegno della Fondazione CR Firenze, grazie alla collaborazione con il Kunsthistorisches Institut in Florenz (Max-Planck-Institut), ed è partner della Florence Art Week. L'installazione di Emeka Ogboh alla Piazzale degli Uffizi ha il Patrocinio del Comune di Firenze.

1Ndikung, Bonaventure Soh Bejeng. “Savvy Contemporary: The Laboratory of Form-Ideas: A Concept Reloaded”. 2017. Available at https://savvy-contemporary.com/site/assets/files/2811/savvy_concept_2017.pdf (accessed 2021-03-27).

2Palladini, Giulia. “On coexisting, mending and imagining: notes on the domestics of performance” (2019). In A Live Gathering: Performance and Politics in Contemporary Europe, edited by Ana Vujanovic and Livia Andrea Piazza, Berlin: B-Books Verlag: 106-132.

3Foroutan, Naika. “Postmigrantische Gesellschaft”, p. 248. In Schramm, Moritz, Moslund, Sten Pultz and Petersen, Anne Ring (eds.). Reframing Migration, Diversity and the Arts: The Postmigrant Condition. Abingdon: Routledge. 2019.

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